Il design in tasca

Il design in tasca” è un agile e intelligente libro scritto dall’architetto, designer e professore Valerio Sacchetti. Come si intuisce dal titolo, il libro è una sorta di guida per definire gli aspetti principali del disegno industriale: l’etimologia, le origini, gli esempi migliori e le relazioni con la società e l’arte nei diversi periodi storici. Tutti questi argomenti sono già stati affrontati da altri studiosi, ciononostante il libro merita di stare nella biblioteca ideale di Elmanco per lo stile asciutto e ironico, e per la mancanza di remore nel criticare anche oggetti comunemente riconosciuti come capolavori del design, quando questi presentano inconvenienti che complicano la loro produzione o utilizzo.

Il design in tasca” può essere una lettura illuminante per gli studenti dei corsi di design, ma anche per tutti quelli che provengono da ambiti professionali differenti e vogliono acquisire i fondamenti di una cultura progettuale su cui c’è molto interesse ma altrettanta confusione.
Il Disegno Industriale è un’attività prima di tutto umanistica, come sosteneva Dino Gavina (maestro di Sacchetti), ma è anche un’attività legata alle tecnologie di produzione che influenzano la forma e il contenuto funzionale degli oggetti. Il libro ribadisce continuamente questa assunto perché lo splendido mestiere dell’industrial designer richiede il possesso di una cultura vasta e trasversale, e favorisce chi ha esperienza diretta del lavoro di artigiani e operai.

Il consiglio finale di Sacchetti è proprio questo: entrare nelle officine e passarci mesi per capire come si fanno le cose, e scoprire quali sono i delicati equilibri di una soluzione economica che non pregiudica l’espressività di un oggetto.
L’espressività può diventare, tuttavia, il limite di un prodotto quando le funzionalità più basilari si sacrificano in nome dell’interesse che forme sofisticate e stravaganti possono suscitare. E’ il caso di tanti prodotti di successo sviscerati da Sacchetti, come il celeberrimo spremiagrumi di Philippe Stark, ma anche della lampada Kelvin T di Citterio e della Chaise longue disegnata da Le Corbusier insieme a Charlotte Perrieand e Pierre Jeanneret.

Del primo sappiamo ormai tutti come sia inutilizzabile, la seconda non può essere pulita in tutte le sue parti rovinando alla lunga il suo originale effetto luminoso, mentre la terza è una seduta rivoluzionaria ma non ergonomica a causa dell’assenza di braccioli e dello spessore sottile che ne impedisce un uso prolungato.
Malgrado i loro limiti, questi oggetti sono diventati icone e grandi successi commerciali ed è difficile pensare un designer baratterebbe tale successo con una maggiore integrità progettuale. In nome di chi dovrebbe farlo, dato che il pubblico continua a comprare questi oggetti?
Probabilmente il pubblico continua a comprarli perché sono diventati dei veri e propri brand ma la questione è complessa e le risposte non sono univoche. “Il design in tasca” affronta queste ed altre delicate questioni con una chiarezza comprensibile anche ai profani, e questo è un grande merito.

La lezione più importante che emerge dal libro è comunque quella che ha contraddistinto i maestri di tutte le discipline: prima di rompere le regole bisogna conoscerle bene. Strade facili per il successo non esistono e capire l’evoluzione che ha portato gli oggetti alla loro forma attuale (vedi il capitolo 5 e la storia della bicicletta) deve essere il fondamento di ogni designer.

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