I pensieri di Gino De Dominicis

Nell’autunno scorso ho visitato il MAXXI di Roma, il nuovo Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo progettato da Zaha Hadid.
L’edificio meriterebbe un articolo a parte ma lo tengo da parte per un’altra occasione; il mio consiglio è comunque di visitare il museo dal vivo perché, pur con i suoi difetti, è una architettura contemporanea di livello internazionale, e interventi del genere in Italia sono sempre preziosi.
Grazie alle mostre in programma in quel periodo ho conosciuto l’opera dell’artista Gino De Dominicis: una fortunata e straordinaria scoperta, di quelle che non puoi apprezzare del tutto solo davanti a un monitor.
Come saprai Elmanco evita di parlare di arte perché non è competente in questo campo e perché crede che esista un confine tra arte e design. Certe volte può diventare difficile riconoscere questo confine, e proprio a questo proposito il pensiero di De Dominicis diventa chiarificatore.
La mostra del MAXXI era un susseguirsi di pitture, sculture e di frasi trascritte in grandi dimensioni sulle pareti bianche. Sulle opere d’arte non sarei tenuto a parlarne per le ragioni di cui prima ma posso dire che i dipinti sono affascinanti e non lasciano indifferenti: cerca una maniera di vederli dal vivo.

Vale la pena invece di soffermarsi sulle frasi che accompagnavano le opere perché spiegano come De Dominicis vede la vita, il lavoro e le pubbliche relazioni dell’artista. E’ un punto di vista assolutamente schietto, acuto e originale che si fa beffa dei tanti cerimoniali che critica e pubblico escogitano per descrivere una creazione artistica. Inoltre, cosa ancora più pertinente con questo blog, Gino (morto nel 1998) aveva intuito le ripercussioni che il proliferare di internet e della parola creatività hanno sul concetto di arte.
Concetto che De Dominicis ritiene immutabile: cambiano le epoche, le tecnologie, e la società ma tutto questo è irrilevante. L’arte è una forma d’espressione originaria dell’uomo, e quindi destinata ad appartenere anche all’uomo del futuro. Non per questo l’arte diventerà qualcosa di comune: per sua definizione è qualcosa di esclusivo e non sarà lo sconfinamento nei campi della moda e della comunicazione a creare milioni di nuovi artisti.
E’ una visione che ritengo intelligente ed eterna e che arricchisce i contenuti di Elmanco. Nel seguito dell’articolo sono elencate le frasi che più mi interessano ma, se ti ho incuriosito, puoi leggere la raccolta completa a questo indirizzo.
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Trade School Milano

Trade School è una scuola la cui filosofia si basa sul baratto, inteso come scambio di saperi e conoscenze pratiche. In sostanza ogni persona interessata ad insegnare qualcosa propone la sua lezione sul sito dedicato, sceglie una data, il numero massimo di studenti e gli oggetti che vuole in cambio dei suoi insegnamenti. Le lezioni possono avere qualsiasi argomento, da come si costruisce un tavolo a come si cucina una zuppa, a come trovare una casa.

E’ un’idea utile e piacevole, nata a New York e importata per la prima volta in Italia su iniziativa dei creativi Danila Pellicani, Serena Schimd e Alessandro Contini. Internet aiuta il passaparola e l’organizzazione delle lezioni, ma il bello di una iniziativa del genere sono le relazioni umane che ne scaturiscono perché tutti possano passare dalla condizione di studente a quella di insegnante, e gli oggetti ricevuti come compenso delle lezioni favoriscono la creazione di un legame.

Le lezioni sono iniziate il 3 maggio e si terranno fino al 25 maggio 2011 negli spazi di The Hub, in via Palo Serpi 8 a Milano.
Osservando il materiale e le foto pubblicate nel sito e su Flikr sembra una bella iniziativa, che spero abbia presto un seguito; purtroppo la distanza da Cesena mi rende difficile partecipare. Finora si sono svolte diverse lezioni con argomenti affini a quelli di Elmanco, per esempio su stickers, pins, web reputation e fotografia, e nell’homepage del sito puoi conoscere le altre in programma. Non sono ancora molti i posti disponibili, perciò se sei interessato iscriviti!

Lomografia

Sono sicuro che tra i lettori di Elmanco ci siano fotografi più competenti di me dal punto di vista tecnico sulle macchine Lomo, ma credo altresì che molti  ancora non conoscano la Lomografia, mentre questa è una storia che merita di essere raccontata il più possibile.
Le Lomo sono macchine di un’altra epoca, vicina dal punto di vista cronologico ma lontana da quello tecnologico e sociale, che stanno vivendo una seconda giovinezza addirittura più sfavillante delle prima. Il segreto del successo di Lomography sta nell’andare controcorrente, e nell’aver creato tra i suoi seguaci un forte senso di identità e di attaccamento.
In tempi di macchine digitali perfette e semplici da usare, e di telefonini sempre più potenti, perché uno dovrebbe fare foto imprecise usando pellicole scadute e macchine prodotte nella vecchia Unione Sovietica?
Perché è cool … e perché le immagini scattate con una Lomo sono immediatamente riconoscibili dai colori saturi, dalla vignettatura e dalle piccole sfocature. La maggior parte delle persone, anche quelle che non lavorano in ambito creativo, trovano queste foto affascinanti perché gli scatti di una Lomo possono rendere speciale un momento o un soggetto altrimenti banale: è il fascino della storia, del vintage, che sembra sempre avere qualcosa di interessante da raccontare.

Se possiedi già una Lomo tutto questo ti suonerà familiare, se invece ne senti parlare per la prima volta qua puoi leggere la storia e conoscere le 10 regole d’oro della Lomografia, che invitano a fotografare in maniera istintiva e sfacciata per ottenere immagini speciali.
Naturalmente, come in tutte la arti, le cose non sono così semplici: per ottenere buoni risultati serve una certa esperienza e disciplina perché la fotografia analogica non ha l’immediatezza e la versatilità di quella digitale. Me ne sono reso conto anche io quando ho acquistato pochi mesi la Super Sampler, uno dei modelli Lomo che più mi incuriosiva. Questa macchina quadriocchiuta è una 35 mm che con un unico scatto impressiona quattro immagini panoramiche nello stesso fotogramma. Le immagini sono scattate in sequenza perché l’otturatore scorre davanti ai quattro obiettivi quindi i risultati migliori si ottengono fotografando soggetti in movimento, oppure muovendo la macchina stessa: l’esatto contrario di quello che siamo abituati a fare.

Le immagini precedenti mostrano la confezione che ho acquistato nello store di Madrid, perché è importante apprezzare anche l’attenzione con cui è progettato il packaging e l’immagine coordinata. A questo proposito non posso non citare il blog di Alessandro Scarcella: Alessandro è un bravo fotografo e in questo articolo ha spiegato il funzionamento della Super Sampler.
Riassumendo, prevedo una lunga seconda vita per le macchine fotografiche Lomo perché sono un mezzo espressivo con caratteristiche uniche (nonostante esistano già delle applicazioni per iPhone che ne imitano l’effetto) e perché il prodotto ha una fortissima brand awareness. Sfruttando il successo delle macchine fotografiche sono stati creati numerosi accessori in continuità con lo stile originale, e la passione degli utenti contribuisce spontaneamente alla diffusione del fenomeno.

Personalizzare i mobili Ikea

Qualcuno potrebbe restare sorpreso, ma ammetto di apprezzare l’esistenza di Ikea. Alcune delle sue produzioni sono troppo economiche (quasi usa e getta) ed altre scopiazzano tendenze faticosamente create da altri però, mettendo sulla bilancia i pro e i contro, il mio giudizio è positivo. Positivo perché Ikea ha contribuito a diffondere tra le masse l’interesse per un gusto moderno privo di orpelli, perché certa oggettistica è obiettivamente ingegnosa, e perché permette a tanti di comprare arredamento con un buon rapporto qualità-prezzo.
Per ragioni come queste molti giovani scelgono di arredare casa con mobili Ikea, nonostante alcuni prodotti siano molto elementari oppure già visti negli appartamenti degli amici. Una conseguenza di questa standardizzazione è la nascita di servizi come This is my Ikea che consente di decorare gli arredi più comuni della multinazionale svedese con adesivi in vinile.

Quella degli adesivi in vinile è una tendenza diffusa da anni per gli ambienti più cool e informali ed era solo questione di tempo prima che a qualcuno venisse in mente di creare dei prodotti su misura per l’Ikea, così come si è già abituati a fare con le cover per iPod e iPhone.
This is my Ikea ha fatto le cose davvero per bene, ingaggiando artisti di talento che hanno creato illustrazioni piacevolissime e dallo stile attuale. E’ sufficiente una veloce occhiata alla galleria per rendersi conto della qualità di un progetto che può contare su un sito efficiente e ben navigabile, e che invita a “SAY NO TO NAKED FURNITURE”

Se il tema ti interessa devi visitare anche Ikea hackers, un blog che fin dal 2006 concentra la sua attenzione sulle possibile elaborazioni di mobili Ikea, create da persone di tutto il mondo. D’altronde Ikea stessa ha inculcato nei suoi clienti l’idea di montare da soli i propri mobili per risparmiare qualcosa, quindi credo che veda di buon occhio questa presta d’iniziativa da parte degli utenti.

Arch Daily Awards

Su Elmanco parlo raramente di architettura perché design e grafica stimolano più i miei interessi e ho deciso di specializzare il blog in una certa direzione, ma resto pur sempre un architetto. Ed ogni architetto che frequenta almeno saltuariamente la blogosfera non può non conoscere Arch Daily ” The world most visited architecture website” come campeggia nella testata del blog.
Il valore di Arch Daily non deriva solo dall’essere il sito di architettura più visitato, quanto dalla sua linea editoriale, dall’attenzione per l’architettura contemporanea di qualità e dalla completezza e precisione degli articoli.
Inutile dire che la diffusione di un sito ricco e professionale come Arch Daily mette a dura prova la vendita di costose riviste di architettura, perlomeno di quelle meno autorevoli.

Arch Daily è nato nel 2008 e in pochi anni ha raggiunto numeri incredibili anche perché il suo editore, l’architetto cileno David Basulto, proveniva da tre anni d’esperienza con Plataforma Arquitectura, un sito che ora può essere considerato una versione spagnola del più noto Arch Daily.
Forte della sua diffusione, il blog ha istituito gli Arch Daily Awards, un premio assegnato alle architetture costruite durante l’anno in tutto il mondo, e suddivise per destinazioni d’uso. La carica innovativa del premio è data dal fatto che la redazione sceglie i vincitori basandosi sopratutto sul voto del pubblico, formato da lettori particolarmente giovani e aperti all’innovazione.

Sono sicuro che nei prossimi anni l’autorevolezza del premio crescerà sempre di più perché, come tanti altri ambiti, anche l’architettura sarà influenzata dai social networks.
Il rischio di iniziative fortemente basate sul web è che siano avvantaggiati i progetti più spettacolari e popolari, ma guardando gli Arch Daily Awards mi sembra che il giudizio sia equilibrato, e che siano state premiate architetture che rispondono in maniera brillante e coraggiosa alle richieste del committente, utilizzando soluzioni costruttive ammirate dai professionisti. Un’altro rovescio della medaglia è che il web conduca verso una globalizzazione degli stili architettonici; in parte il processo è già in atto ma l’ambiente circostante sarà sempre una fonte di ispirazione, e un vincolo, caratterizzante per un progetto di architettura.
Tra qualche anno un Arch Daily Award varrà come un premio Pritzker? E’ possibile.

Nuovo Bulli: perchè non esiste?

Da quel che so un restyling è in cantiere da molti anni, e immagini di possibili concept sono disponibili in rete, ma non riesco a capacitarmi perché  Volkswagen non abbia ancora messo in commercio una versione aggiornata al nuovo millennio di uno dei suoi veicoli più leggendari: il Microbus, o Bulli che dir si voglia.
Un modello del genere potrebbe avere un grande successo commerciale, a patto di studiarne una versione con il design, il prezzo e le caratteristiche giuste. Sono sicuro che i presupposti ci siano tutti perché l’operazione di riproporre vecchi modelli, un tempo popolari ed economici, in una nuova versione più cool e pregiata, ha sempre funzionato negli ultimi anni.
Abbiamo già visto rinascere con successo la Mini, la Fiat 500 e, anche se in maniera meno riuscita, il Maggiolino. Si tratta di veicoli che hanno il vantaggio di andare sul mercato con un’intaccabile dote di curiosità dovuta alla storia e dall’affetto che le circonda. E’ palese, infatti, come ci sia sempre un buon motivo per rimpiangere l’epoca precedente, e come tutte le mode siano destinate a tornare ciclicamente in auge dopo pochi decenni.
Inoltre il Volkswagen Bulli fa parte di una categoria di veicoli molto richiesta in questo momento: può essere considerato un precursore del monovolume inventato dalla Renault con l’Espace alla fine degli anni ottanta, ed è sempre stato apprezzato per la sua comodità e versatilità tanto che ne esistono innumerevoli versioni da cui sono derivati gli attuali veicoli commerciali Volkswagen. Pensare a una gamma di monovolume ispirata alle linee retrò del modello originale, e con un’esclusività superiore alla media degli altri concorrenti, è un’idea che non può non funzionare e che aiuterebbe la casa tedesca a svecchiare un’immagine che si è fatta piuttosto prevedibile.

LAST MINUTE. Avevo preparato questo articolo mesi fa, ed ora ho scoperto che pochi giorni fa, al Salone dell’auto di Ginevra, è stato presentato un concept più concreto di quelli apparsi negli anni passati, e che il nuovo Bulli dovrebbe essere in commercio nel 2014. Confrontarsi con un modello geniale come l’originale non è semplice ma  le linee di questo prototipo mi convincono poco, nonostante apprezzi la scelta del bicolore. Auspico un richiamo più evidente al modello originale, e scelte più coraggiose, perché i competitors offrono alternative con caratteristiche simili ed a parità di condizioni l’acquirente sceglierà sempre l’auto più bella.