Wish you were here Veuve Clicquot

Ricordo che il mio primo incontro con Veuve Clicquot avvenne quando lavoravo per il Papeete di Milano Marittima (quasi sei anni fa, che tempi!) e notai che le bottiglie di champagne venivano servite all’interno di un bellissimo portaghiaccio di colore arancio. Quell’oggetto attirò la mia attenzione innanzitutto per il colore, e poi per la forme moderne ed essenziali, molto diverse da quelle che ci si aspetta per un oggetto del genere. Mi resi velocemente conto di quale era la strategia scelta dal brand: rivolgersi a un pubblico avvezzo al lusso con un’immagine fresca e contemporanea invece di usare i toni classici che contraddistinguono gli altri produttori.

Apprezzo tutti gli accessori creati da Veuve Clicquot in questi anni, perché i progetti sono nati dalla collaborazione con eccellenti studi di design come quelli di Tom Dixon e Porsche Design. Apprezzo invece meno i prodotti disegnati per la casa francese da Karim Rashid, ma i lettori di Elmanco sapranno che non sono un grande estimatore del designer egiziano-canadese.


Un’azienda come Veuve Clicquot investe grande cifre nella comunicazione e nella sponsorizzazione di eventi culturali, sportivi e mondani in tutto il mondo. Pure in questo caso nulla di nuovo, tanti altri lo fanno, ma vedere qualcosa di arancio nelle fotografie alza sempre il mio livello di attenzione perché so che potrei scoprire qualche prodotto dal buon design.

Per conoscere meglio l’universo Veuve Clicquot è nata da poco una piattaforma web che raccoglie immani e video prese dai tanti eventi a cui è presente lo champagne francese. Il sito si chiama Wish you were here e diventerà senz’altro una bella finestra per essere aggiornati sui progetti in arancio attualmente in corso, anche perché sono stati scelti come contributor ufficiali alcuni dei migliori blogger al mondo per design e lifestyle: Notcot, Gear Patrol, Frizzifrizzi, Yatzer, Cool Hunting… insomma, Veuve Clicquot dimostra buon gusto fino in fondo.

Polkadot Mag N°01

Quando un blog italiano riesce a materializzarsi in un prodotto editoriale concreto e tangibile (intendo stampato sulla cara vecchia carta!) c’è sempre da festeggiare e faccio perciò i complimenti e un grosso in bocca al lupo agli amici di Polkadot, colleghi blogger della primissima ora che hanno dato vita a Polkadot Mag.   Il numero zero è stato stampato nell’aprile 2011 e questa pubblicazione invernale mantiene invariata la formula e il formato: un unico grande foglio ripiegato su se stesso in un formato tascabile che definisce la griglia del layout.

I contenuti sono naturalmente gli stessi di Polkadot blog: design, arte, moda, fotografia e musica, come esplicitato anche dalle icone disegnate da Dario Verrengia autore del bel progetto grafico della rivista. Dario ha fatto davvero un buon lavoro, creando una veste coerente con l’immagine del blog ma ricca di dettagli adatti alla versione cartacea.

Nel sito di Polkadot Mag puoi vedere la rivista in formato .PDF, e trovare l’elenco dei luoghi dove procurarsi una copia originale; per ora la rete di distribuzione copre, a parte poche eccezioni, solo Roma e Milano.

Questi i contenuti del nuovo numero di Polkadot Mag:
Design: Marcel Wanders, Andrea Vecera, Studio Fludd | Moda: Address, Gloverall, Laundry, 55DSL + Naba | Eco: MoNaMoUR | Architettura: Manuel Herz | Grafica: La Tigre, Print Club London, Sulki & Min | Twitterintervista: Paolo Dell’elce | Musica: Wild Beasts, The Rapture | Fotografia: Heidi Johansen | Illustrazione: Olimpia Zagnoli | Arte: Mario Sughi Nerosunero | Guest Editor: Simone Sbarbati.

Il tecnigrafo di Steve Jobs

English translation below by Gianluca Gimini.
Scommetto che pochi sanno che la primissima creazione di Steve Jobs era un solido e tradizionale tecnigrafo in legno, di quelli che una volta affollavano gli studi di architettura e ingegneria…
Scherzo ovviamente : ) le immagini che vedi in questo articolo non appartengono ad un prodotto Apple ma sono un’opera dell’artista Paolo Troilo che ha voluto rendere uno speciale omaggio al geniale Steve Jobs.

Vedere il simbolo della mela stampato sopra un’usurata superficie in legno è straniante, ma ci fa rendere conto quanto sia radicato nell’immaginario collettivo il brand Apple. Un piccolo logo su fondo bianco, e una cornice nera, sono sufficienti a stravolgere l’aspetto di uno oggetto ormai obsoleto e a farci, almeno per un istante, esitare dinnanzi ad esso.

Il titolo dell’opera di Paolo Troilo è “Thanx Steve”, e suppongo che l’intenzione del suo autore sia ricordarci a che punto eravamo prima delle rivoluzioni che Steve Jobs ha apportato ai personal computer, e di conseguenza al nostro modo di vivere e lavorare.

I miei primi esami all’università li ho preparati disegnando a mano su un tecnigrafo, mentre ora quando si pronuncia parola desktop penso immediatamente alla scrivania virtuale del computer.
Jobs merita davvero di essere ringraziato per tutto questo progresso tecnologico? Dato il lavoro che faccio dovrei dire di sì, ma non posso negare che ogni tanto qualche dubbio mi assalga.

(Via: First Floor Under)

I bet none of you know that Steve Jobs’ very first creation was a solid and trustworthy drafting table. One of those devices that up until a decade ago could easily be seen in architectural or engineering firms… Just kidding obviously : ) The images below don’t portray an Apple product but one of artist Paolo Troilo‘s latest works: his very special homage to Steve Jobs.

Seeing the Apple logo applied to a worn out wooden surface is odd to say the least and makes us realize how deeply this brand’s identity has been able to entrench our society. A small logo on a white background and a thin black frame are sufficient to make over this obsolete tool and catch our perplexed looks.
The title of this piece is “Thanx Steve” and I’m assuming its intent is to make us all stop and think where we were at  before the revolution that Steve Jobs brought to personal computing and consequently to our working methods.

The projects I used to hand in for my finals during my first years of Architecture school were hand  drawn on a drafting machine like this one. At that time the word desktop didn’t evoke anything virtual. But should Steve Jobs really be thanked for all this technological progress? Considering how much I use Apple products in my work and during my leisure time I shouldn’t be much in doubt, however at times I get the feeling that Jobs’ great entrepreneurial abilities and the amazing brand awareness that his companies achieved (symbolized by Paolo Troilo’s artwork) are being mixed up and mistaken with his merits as a technological innovator. Merits that he does have, but that not everyone considers  he shares with other less famous programming experts.

(Via: First Floor Under)

Knitting design

Knitta Please ne ha fatta di strada dal 2005 ad oggi. Il movimento di street art più caldo e morbido del mondo si è fatto conoscere un pò da tutti e, anche se ora il gruppo iniziale si è sfaldato, altre discepole hanno proseguito lunga la strada tracciata dalla fondatrice texana Magda Sayeg. Uso il femminile perché credo che solo delle donne vogliano cimentarsi nel lavoro a maglia, ma forse mi sbaglio?!

Ne parlai la prima volta in questo articolo del 2007, ma mi piace tornare sull’argomento perché nel gruppo Flickr e nel sito di Magda ho visto delle opere fantastiche che hanno notevolmente evoluto l’idea iniziale di usare lavori a maglia incompleti per colorare i grigi paesaggi urbani, invece delle “consueta” vernice spray.

Grazie alla fama ottenuta, Knitta Please ha trovato sponsor che gli hanno permesso di cimentarsi con lavori di dimensioni enormi, come automobili e bus!

Recentemente ho scoperto su CocaColla che anche in Italia abbiamo una designer bravissima nell’uso dell’uncinetto: Alessandra Roveda.


L’uso che Alessandra fa del lavoro a maglia è però differente: non le interessano le installazioni all’aperto e preferisce usare la lana per reinterpretare oggetti di uso quotidiano. Il concetto è simile a quello di Knitta Please ma i risultati sono più surreali e delicati, e ci trasportano in una dimensione lontana ma più rassicurante come quando rivediamo il nostro cartone animato preferito da bambini.

Comprare design con Fab.com

Fab.com è il miglior sito di e-commerce del momento per quanto riguarda il design di qualità; quando dico “del momento” intendo quello più innovativo e più cool, quello sulla bocca di tutti, nonostante in Italia non abbia ancora raggiunto la notorietà che merita. Su Fab.com puoi trovare arredo e oggettistica a prezzi davvero convenienti, con sconti che oscillano tra il 30% e il 70%. Il progetto si può ritenere davvero innovativo per la formula con cui i prodotti sono proposti: forti sconti ma disponibilità limitata a 72 ore, un tempo sufficiente ad invogliarti all’acquisto perlomeno se non si tratta di un investimento troppo alto.

Si tratta di una formula diversa dagli acquisti collettivi di Groupon, o dalle aste al rialzo e al ribasso che conosciamo da tanti anni, ma di qualcosa di nuovo che tuttavia prende a prestito alcuni concetti e meccanismi da siti preesistenti.
L’altro aspetto innovativo di Fab.com (e che apprezzo maggiormente) è di puntare su un target ben preciso: gli amanti del buon design. Spero che il sito continui a mantenere un livello di qualità così alto, perché finora più della metà dei prodotti messi in vendita avrebbero meritato di essere pubblicati su ELMANCO! Ogni giorno vengono proposti una decina di nuovi marchi, ma nella sezione Upcoming sono elencati anche i prodotti che saranno disponibili la settimana successiva, così da fare un’idea in anticipo.

Fab.com funziona perché prima ancora di essere un sito di e-commerce è un sito dei desideri: non è un sito dove trovare quello che cerchi, ma dove trovare quello che ancora non sai di cercare. Un procedimento all’inverso che mi ha ricordato il funzionamento di Stumbleupon.  Non ho ancora comprato nulla con Fab.com, ma in compenso mi è tornato utile per trovare materiale da pubblicare sul blog.
Iscrivendosi al sito riceverai infatti una newsletter giornaliera che difficilmente finirà nel cestino senza avere prima dato un’occhiata a tutto il ben di dio che contiene.

Un’altro punto di forza di Fab.com è l’interfaccia del sito, moderno, chiaro, e di forte impatto grazie alla grande dimensione delle foto dei prodotti (la cosa più importante per un sito del genere) che offre un’esperienza complessiva davvero eccellente.
Il riscontro ricevuto da Fab.com durante questi primi mesi di vita è stato molto positivo; il suo fondatore Jason Goldberg, ha già lavorato in altre importanti start-up e anche questa volta è riuscito a fare centro. Consiglio di leggere questo articolo del suo blog per conoscere il personaggio.

Sarà questa la soluzione definitiva per vendere il design sul web?
Ovviamente no, in un settore come questo le novità viaggiano alla velocità della luce ed anche chi è online solo da pochi anni non sempre sa adeguarsi alle nuove tecnologie e alle nuove abitudini degli utenti.
Ne sanno qualcosa siti come This Next, di cui avevo parlato con entusiasmo nel 2006 e che ha cambiato veste troppe volte, fino a snaturarsi e a perdere il coinvolgimento degli utenti.  Oppure Charles & Marie, uno dei primi siti di social e-commerce per il design, che si è invece rinnovato troppo poco ed ora sembra rimasto fermo agli inizi degli anni duemila.

Crebs per cercare lavori creativi

Realtà aumentata e architettura

Greg Tan è uno studente americano appena laureato in design ad Harvard con una tesi che esplora le applicazioni future della realtà aumentata nell’architettura. Greg è molto giovane, e comprensibilmente avido di immaginare come diventerà il lavoro che lo attende.
In questo video lo studente ha creato uno scenario futuro dove la realtà fisica è permeata di immagini digitali in 2 e 3 dimensioni che interagiscono con gli utenti con grande facilità.


Greg auspica che l’utilizzo di queste tecnologie aiutino il lavoro dell’architetto e del designer nel valutare l’impatto dei propri progetti e le relazioni con gli edifici e gli spazi circostanti. Oltre ad essere strumento di lavoro, tuttavia, la realtà aumentata potrebbe diventare un vero e proprio elemento architettonico, virtuale, con cui fare i conti nei progetti futuri. Si tratta, insomma, di un video molto interessante, che consiglio di vedere prima nella versione ridotta di 5 minuti e poi, se ti ha affascinato, anche nella versione estesa di 19. Alcune delle situazioni immaginate nel video si sono già viste nei film di fantascienza, oppure sembrano davvero azzardate, ma i giovani DEVONO sperimentare…

Mediating Mediums – The Digital 3d [Short Version] from Greg Tran on Vimeo.

Sappi inoltre, come ha scritto fieramente Greg Tan nella mail che mi ha inviato, che Bruce Sterling ha definito la tesi “a superior piece of mixed-reality design-fiction” e gli ha dedicato un articolo su Wired.

Argomenti come questi sono sempre stuzzicanti, e non ha caso li ho già affrontati con gli articoli su Save the text Save the words e Bjarke Ingels.

L’innovazione responsabile a Forlì

Segnalo un evento che può interessare tutti coloro che lavorano nei vasti ambiti della creatività, e che si svolgerà a Forlì dal 9 al 10 settembre 2011. Data la vicinanza con Cesena, è probabile che vi partecipi anche io quindi se ti troverai a Forlì in quei giorni contattami pure.
L’innovazione responsabile è il nuovo evento di “L’arte di innovare“, un’iniziativa creata dalle istituzioni al governo della Romagna con l’obiettivo di innalzare la propensione all’innovazione della classe dirigente del territorio. Innovazione intesa non solo in senso scientifico-tecnologico ma in una accezione più ampia che include anche l’innovazione sociale.
Sono previste conferenze alternate a mostre, laboratori eventi e spettacoli per tutti i gusti, che si rivolgono a liberi professionisti, imprenditori ma anche comuni cittadini.

Il programma delle conferenze lo trovi qui; le più interessanti per i lettori di Elmanco mi sembrano ” Cultura e linguaggi dell’innovazione“, ” Design network internazionali per l’innovazione locale“, “Innovazione creativa: buoni esempi” e ” Diritto dell’Immagine nella comunicazione d’impresa e nella Informazione“.

In questa pagina è pubblicato l’elenco  delle mostre e degli eventi: ci sono laboratori di teatro e scrittura creativa, esposizioni artistiche e un interessante giro della città insieme a Spazi Indecisi. La partecipazione è naturalmente gratuita.

Sempre in questa occasione ci sarà un’anteprima dei progetti selezionati da RCD per il concorso Into the pattern che avevo segnalato su Facebook poco tempo fa.
Innovazione responsabile è infatti un evento sostenuto dal Romagna Creative District un social business network di cui tornerò presto a parlare.


La città di Belgrado

Sei hai letto il blog nelle settimane passate, saprai che sono stato a Belgrado in occasione della Belgrade Design Week 2011, di cui ho già parlato qui e qui. L’evento è stata un’occasione per scoprire una bella città ancora poco frequentata dal turismo italico, e per farsi un’idea di cosa sia (stato) l’Est Europa.

La città sorge in una posizione magnifica, nella confluenza tra i fiumi Danubio e Sava ed il vero simbolo della città è la fortezza posta lungo i due fiumi, che da sempre domina il territorio circostante.
Belgrado in serbo significa città bianca, e infatti nella bandiera della città il castello è rappresentato di colore bianco; purtroppo questa icona della città si fa carico di terribili ricordi perché, proprio a causa della sua posizione strategica, Belgrado è stata nei secoli teatro di terribili battaglie per il suo controllo ed ogni volta che un invasore occupava la città radeva al suolo gli edifici lasciando in piedi solamente la fortezza, che è quindi l’unico edificio a tramandare la storia della città.
Durante la seconda guerra mondiale avvenne l’ultima grande distruzione di Belgrado, che perciò presenta un impianto urbanistico nato negli anni ’50. I bombardamenti della nato alla fine degli anni ’90 hanno ferito ancora la città, ma ho visto pochissimi edifici danneggiati perchè ormai è stato ricostruito tutto.

Le Corbusier la definì la città più brutta del mondo nella posizione più bella. Una frase dura, ma che non posso sbugiardare perché immagino che l’architetto abbia visitato la città in tempi più cupi del presente. Ora non mi sembra che i Belgradesi se la passino male: il centro della città mostra un benessere al livello dei paesi europei evoluti e la popolazione è proiettata verso il futuro e la Comunità Europea. Naturalmente affiorano scorci di abbandono, ma vero degrado non ne ho visto nemmeno in periferia mentre ho constatato come gli spazi pubblici siano più curati e ordinati di tante città italiane.

Abbiamo avuto la fortuna di visitare Belgrado in giornate stupende, calde e luminose e questo ci ha permesso di apprezzare il lungofiume, frequentatissimo dai Belgradesi giorno e notte. Se vai a Belgrado in questo periodo portati dietro telo e costume da bagno perché pochi chilometri e sud della città c’è il lago Ada: un ramo del fiume Sava chiuso artificialmente che è diventato la spiaggia di Belgrado. In estate i cittadini si spostano in questa area ricca di verde, campi di gioco e attrezzature. Già, il verde, non me ne aspettavo così tanto. La città ha molti parchi e il paesaggio visto della fortezza è sorprendente: guardando verso l’isola ci si trova di fronte una foresta, ma basta spostarsi poco per vedere il degradare del centro città, oppure i palazzoni socialisti della area Nord.

I Serbi che ho incontrato sono stati molto gentili e disponibili, ma scordati il calore dei popoli latini: non mi è sembrata gente che dà confidenza in poco tempo, ma forse sarebbero bastati pochi giorni in più per farsi un’idea diversa.
La gran parte dei giovani parla fortunatamente l’inglese, ma non è possibile trovare un giornale in lingua italiana o inglese nelle loro edicole e comprendere i testi in cirillico non è cosa che si impara in pochi giorni. In compenso la maggior parte delle insegne sono scritte in alfabeto latino, che semplifica almeno la lettura, e gli hot-spot WI-FI gratuiti sono numerosi.

Ripensandoci bene direi che grigio e verde sono i colori dominanti della città: il verde per le ragioni che ho già spiegato, il grigio perché questo è il colore della maggior parte degli edifici. Sono tante le costruzioni vecchie di 40, 50 anni che avrebbero bisogno di un restyling, ma tutto questo lavoro per architetti resta ancora sulla carta, nonostante sia convito che tra un decennio l’aspetto potrebbe apparire molto diverso.
Belgrado ha un suo fascino, ma va cercato. Noi siamo partiti senza saperne quasi nulla (sul web ci sono poche tracce e ancora non esiste una guida Lonely Planet) e con molta curiosità.
E’ una città con una storia imponente ma di cui restano poche tracce, e forse è questo l’aspetto che lascia interdetti noi italiani, abituati ad avere in patria paesi minuscoli ma con centri storici e monumenti meravigliosi. Per esempio le pareti dei palazzi di Skadarlija, uno dei quartieri più piacevoli di Belgrado, sono decorate con enormi trompe d’oeil che raffigurano quello che invece in altre città europee esiste davvero.

Nonostante i numerosi giovani in giro per le strade, la scena creativa sembra ancora un poco’ povera, sia per perché la Serbia è periferica, sia perché non ci sono grossi investimenti. Tuttavia non mancano i buoni esempi di interior design e ti consiglio di vedere due aree in particolare. Una è quella lungo il fiume Sava a destra conosciuta come Beton Hala, dove sono stati ristrutturati dei magazzini che ospitano una serie di bar-ristoranti sfavillanti. Sul web c’è qualche traccia: guarda i siti di Iguana e Comunale per farti un’idea. L’altra area da vedere è Strahinjica Bana Street, consigliata sia per la nightlife che per il design degli street bar e dei e locali; sempre lungo questa strada non perderti il concept store Supermarket, di cui hanno già parlato tanti blog di design.

Un ultimo consiglio prima di partire per Belgrado: controlla il blog di Stefano Giantin. Io l’ho scoperto solo al ritorno, ma sembra che questo Italiano conosca bene la Serbia e i paesi Balcani. Non so di cosa si occupi ma deve avere anche delle competenze grafiche perché il suo blog ha un layout bello e attuale.

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Belgrade Design Week Report

Giusto una settimana fa sono tornato da Belgrado (per una simpatica coincidenza, nello stesso momento era all’aeroporto anche Ratko Mladic, con destinazione Aia…) ed è ora di stilare un report dell’evento principale di quei giorni: la Belgrade Design Week 2011, che avevo già annunciato qui.
A questo articolo ne seguiranno altri sulla città di Belgrado e su un paio di negozi davvero cool che consiglio di visitare, casomai ti trovassi in Serbia.
Purtroppo sono riuscito a partecipare solo il pomeriggio di sabato 27 maggio, la giornata conclusiva, ma l’impressione che ne ho avuto è stata estremamente positiva. Si tratta di un evento di alto livello, organizzato con professionalità e degno di una grande capitale europea. Se l’obiettivo è quello di promuovere Belgrado in ambito creativo, e proiettarla per qualche giorno al centro delle scena internazionale, la missione è riuscita.

Merito dell’organizzazione, capitanata dall’architetto Jovan Jelovac di cui ho apprezzato anche l’abilità nel condurre il ciclo di conferenze che si è tenuto allo Yugoslavic Drama Theatre. Non l’ho conosciuto personalmente (anche a causa del mio inglese scadente che prima o poi dovrò imparare sul serio) ma è una persona molto competente e appassionata. Per conoscere meglio il dietro le quinte di quelle giornate ti consiglio di leggere l’articolo edito da Abitare.

Io e i miei compagni di viaggio abbiamo seguito le conferenze di Nick Leaf, senior creative director di MTV, Samul Payne dell’agenzia pubblicitaria Mother, Andy Cameron di Wieden & Kennedy, Shane Walter della polivalente Onedotzero, Ian Toombs di Anomaly e infine Patrik Schumacher, architetto associato dello studio di Zaha Hadid. Personaggi brillanti, che fanno parte di alcuni dei migliori studi del mondo, e che ci hanno mostrato progetti di successo e una visione di dove sta andando la loro professione.

L’intervento che ha suscitato maggior entusiasmo è stato quello di Schumacher, il teorico di Zaha Hadid che ha illustrato l’ambiziosa tesi secondo cui siamo di fronte al nascere di nuovo stile architettonico: il Parametrismo, punto di rottura con le epoche precedenti. Stile figlio, aggiungo io, della potenza di calcolo dei moderni computer la cui influenza sta permeando ogni aspetto della società e inevitabilmente anche l’architettura. Il tempo dirà se la tesi è giusta, certamente in questo momento Zaha Hadid fa progetti eccezionali, ed un punto di riferimento imprescindibile per i colleghi.

La serata è poi proseguita con una gran bella festa organizzata da MTV nel 25° piano di uno dei pochi grattacieli moderni di Belgrado, al di là del Danubio, per suggellare la conclusione degli eventi. La Design Week era iniziata lunedì con alcuni workshop che non ho conosciuto, ma seguire tutto richiede molto tempo, ed è pure stancante…

E’ importante spiegare come al di fuori delle conferenze, dei workshop, e dei concerti non esistessero altri eventi che interessassero la città. Non c’erano fiere e showroom aperti in concomitanza; la maggior parte dei cittadini non è coinvolta in queste giornate che rimangono molto “per addetti ai lavori” e Belgrado non è una città dalla creatività esaltante, quanto piuttosto grigia.
Tuttavia questo aspetto ha anche dei risvolti positivi, non si rischia l’asfissiante abbondanza di stimoli della settimana del design milanese, perciò non posso che consigliare a tutti i lettori di Elmanco una visita alla prossima Belgrade Design Week.