Trend type

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Minimuseum

Hans Fex è un product designer con una grande passione per le scienze naturali, eredita dal padre, uno scienziato che aveva regalato al figlio di 7 anni un blocco di resina epossidica contenente un antico reperto. Il genitore sarebbe sicuramente fiero di sapere che quell’insolito regalo segnò per sempre l’immaginazione e l’attitudine del piccolo Hans tanto da spingerlo, 37 anni dopo, a costruire con le proprie mani un mini museo tascabile usando proprio la resina epossidica. minimuseum3

Mini Museum, il nome del progetto lanciato pochi giorni da Hans fa attraverso Kickstarter, ha immediatamente superato l’obiettivo minimo dei 38.000 $ necessari per la messa in produzione, tanto da sfiorare al momento della stesura di questo articolo la fantastica cifra di 600.000 $!
E con tutta probabilità, da qui al 20 marzo (data di chiusura della raccolta fondi) la colletta incrementerà ancora.

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L’idea è molto “geek”, ma originale e meritevole nell’intenzione: permettere a chiunque con una cifra ragionevole di possedere letteralmente un pezzettino di storia di questo pianeta e dell’umanità. Come farlo? Riducendo le dimensioni dei reperti a quelle di piccoli frammenti, non riconoscibili ma regolarmente certificati perché Hans Fex ha passato tutta la sua vita a collezionarli attraverso ricerche, viaggi e consulti con scienziati e direttori di musei.

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Il Mini Museum è disponibile in tre diversi formati, e il più grande (15×12 cm) contiene fino a 33 reperti scientifici; tanto per intenderci si tratta di resti di materiali e manufatti come: meteoriti, fossili vecchi di 3 milioni di anni, denti di dinosauro, palme dell’Antartide, bende di mummie, rocce del monte Everest, mattoni del muro di Berlino e della casa di Abraham Lincoln, per finire al rivestimento del modulo lunare Apollo 11.
Un viaggio lungo come tutta la storia della Terra, racchiuso chiuso nel palmo della mano: niente male, vero?
(Via: Notcot)

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Video Mapping, questo sconosciuto

Di solito, quando dici ad una persona “ Faccio Video Mapping”, essa tende a guardarti in modo strano, come se avessi parlato in una lingua sconosciuta, quella faccia che dice “amico, veramente non so di che stai parlando”. Non hanno tutti i torti a guardarti così, il Video Mapping è una tecnica abbastanza recente e in Italia se ne sono visti pochi, e la gente che li ha visti non sa che si chiamano Video mapping.
Il Video Mapping è una tecnica che consiste nel proiettare effetti grafici 2D e 3D su una superficie.

La superficie in questione può essere la facciata di un palazzo, un’automobile, perfino un albero. E a seconda della cosa su cui proietti prende un nome diverso, quindi il Video Mapping è diviso in diverse sotto-categorie che si prendono il nome di Architectural Mapping, Car Mapping, Garden Mapping, e così via.
Il Video Mapping nasce nei primi anni del 2000, e viene usato molto in ambito della comunicazione, ma anche come installazione artistica. I primi paesi a utilizzare questa tecnica sono stati la Francia, Spagna, Olanda, Belgio, Gran Bretagna,etc. Infatti da questi paesi provengono i migliori studi di Video Mapping, come ANTIVJ, OnionLab, Bordos, Telenoika, Obscura Digital, e la lista continua… Questi studi hanno creato i mapping più spettacolari di sempre, e rimangono sempre all’ avanguardia.
In Italia questa tecnica è arrivata da poco, e gli studi di Video Mapping sono pochi. Nel panorama italiano ci sono Apparati Effimeri, Roberto Fazio e i già noti nel campo delle installazioni video Studio Azzurro.

Dando una visione romantica a questa disciplina, diciamo che i primi a fare Video Mapping sono stati alcuni VJ che stanchi di proiettare all’ interno dei club, hanno deciso di portare i loro proiettori e computers all’esterno dei club, creando spettacolari effetti visivi sulle facciate. Difatti la collaborazione tra musica e visual è molto stretta, e spesso un mapping coincide con un evento musicale.

Ma come si fa un Mapping?
Fare un mapping è piuttosto complesso, ma molto affascinante. Grazie ad un workshop tenuto da Apparati Effimeri ho potuto vedere ogni passo di questo processo, fino ad arrivare alla vera e propria proiezione. All’inizio si fa un rilievo della facciata su cui si dovrà proiettare, si fanno fotografie dell’intero edificio, dei dettagli architettonici, e si decidono quanti proiettori utilizzare e quali ottiche usare. Poi si torna in studio e ci si concentra sui contenuti, sullo storyboard, e si crea un modello 3d della facciata su cui sbizzarrirsi.

I programmi usati solitamente nella parte creativa sono CINEMA 4D e After Effects. Montato e renderizzato il video si torna nel luogo della proiezione, dove si allestiscono i proiettori. Per la messa in onda della proiezione si utilizzano programmi da vjeeing, come Mad Mapper, TouchDesign, Pandora, VDMX etc che gestiscono le immagini che andranno sui proiettori.
Per fare coincidere le immagini video con la facciata si fa un warping, ovvero si distorce l’ immagine che esce dai proiettori, tramite i programmi da vj.
Nel caso si utilizzino più proiettori, per far si che l’immagine risulti omogenea e senza stacchi, si sfumano i bordi di ogni proiezione tramite l’edge blending.
Dopo aver sistemato tutto, non resta che premere play… e assistere alla meraviglia. Perchè il bello è che anche tu vedi il tuo lavoro per la prima volta, e se tutto ha funzionato bene l’emozione è tantissima.

Mapping Around Showcase from Mattia Santini on Vimeo.

I mapping sono utilizzati in ambito della comunicazione, e grosse aziende si rivolgono a questi studi per creare eventi di richiamo promozionale di un prodotto.
Esistono anche festival di Video Mapping dove si raccolgono i migliori projection designers dell’ Europa e del Mondo. Tra i più importanti citiamo il Mapping Festival a Ginevra, il Fiber Festival ad Amsterdam, il
Festival of Lights di Berlino e il Vivid Live a Sydney.

Archigram invecchia bene

L’articolo di oggi è vecchio di 50 anni perché è incentrato su Archigram, un gruppo di avanguardia architettonica nato circa mezzo secolo fa, che ha lasciato una traccia profonda nell’immaginario dei progettisti che seguirono le loro orme. Recentemente mi sono capitate sottomano alcune immagini dei loro progetti ed ho scoperto un sito pseudo-ufficiale che raccoglie la maggior parte dei loro progetti.

Archigram era formato da giovani architetti inglesi che traevano ispirazione dal futurismo e dal geniale inventore americano Richard Buckminster Fuller. Archigram era sinonimo di ottimismo, tecnologia, coraggio e progresso.
Il gruppo era all’avanguardia nel senso migliore del termine, e fa sorridere pensare che quando queste magnifiche immagini sono state create, la computer grafica era ben lontana da venire. Gli architetti di Archigram hanno immaginato un futuro che ha iniziato a prendere forma sopratutto negli anni 2000, grazie allo sviluppo di potenti software di disegno e di calcolo.

Le macchine per abitare di Archigram mi hanno sempre ricordato i disegni del grande fumettista francese Jean Giraud, in arte Moebius.

Photoshop Candid Camera

Uno dei video più visti su Youtube nelle scorse settimane è stata questa geniale candid camera realizzata dal biondissimo Erik Johansson, un fotografo svedese che ha scelto una maniera inconsueta per dimostrare la sua abilità nell’uso di Photoshop.
Erik ha installato un monitor e una telecamere nella fermata di un autobus e, nascosto all’interno di un furgone parcheggiato lì vicino, ha iniziato a foto ritoccare le persone in sosta sotto la pensilina, mentre le vittime osservavano incredule loro immagine modificata in diretta.

Fantasia, abilità, rapidità di esecuzione, divertimento: un bello spot per Photoshop, l’indispensabile software Adobe diventato ormai noto non solo tra i professionisti, ma anche in una cerchia di pubblico molto più generalista. L’iniziativa di Erik Johansson, infatti, è nata all’interno degli Adobe Creative Days una serie di eventi in cui l’azienda ha invitato i migliori creativi del pianeta a dimostrare la loro eccellenza.

Ventura Lambrate deludente

Scrivo questo articolo dopo la prima visita a zona Ventura Lambrate durante la settimana del design milanese 2012. La curiosità era tanta perché dal 2010, anno di nascita, ad oggi il progetto ha riscosso molti consensi e punta a ritrovare quell’energia creativa originaria del Fuorisalone, che sta sfumando sotto i colpi di tanti inserimenti istituzionali e commerciali che a volte poco centrano con il design.
Forse le mie aspettative erano troppo alte, ma sono rimasto deluso da zona Ventura Lambrate nonostante tutti continuano a parlarne molto bene; e non lo dico per fare semplicemente il bastian contrario.

L’ambientazione è affascinante: sono stati usati ex edifici manifatturieri oggetto di ottimi progetti di recupero, c’è tanta bella gente, gli eventi non mancano e passeggiare per la zona è indubbiamente un piacere. Tuttavia, il design che ho visto non mi ha impressionato.
Per fare una sintesi malvagia, credo che escludendo lampade, tappeti e cose note (come quelle del bravissimo Jaime Hayon) restasse ben poco da vedere. Questo è il mio punto di vista, spiegato dal fatto che Elmanco si interessa più al disegno industriale che all’artigianato e all’arte, o perlomeno a quei casi in cui l’ handmade può avere una sua chiara funzionalità oppure essere l’apripista di produzioni in serie.


La sensazione che invece ho avuto era che a Ventura Lambrate si facesse a gara a chi trovasse l’idea più sorprendente e originale perché tanti progetti avevano un senso solo calati in quella situazione, mentre in ambienti più quotidiani e ordinari avrebbero avuto ben poca ragione di esistere.
Quest’anno non ho visitato il Salone del Mobile, concentrandomi sul Fuorisalone in città, ma in fin dei conti sono rimasto deluso sia dagli eccessi commercial – popolari di Zona Tortona che dall’autoreferenzialità dei designer – artisti – provocatori di Ventura Lambrate.
Non voglio certo dire di ignorare il Fuorisalone, anche perché gli eventi e le serate possono essere molto divertenti, ma è meglio non aspettarsi troppo.

Archleaks

Un collega architetto mi ha segnalato la nascita di Archleaks, un sito che rivela i dietro le quinte dei più famosi studi di architettura. La parola “leaks” rievoca il celeberrimo WikiLeaks, il sito che pochi anni fa è stato al centro di inchieste scaturite dopo avere coraggiosamente rivelato delicati segreti diplomatici e militari. Nel suo piccolo, Archleaks ha lo stesso intendimento: mostrare quello che veramente accade all’interno degli studi di progettazione di cui si conoscono bene solo i successi e gli aspetti più interessanti e glamour. Non è che ami particolarmente i delatori e sono sicuro che tutti abbiano qualche scheletro nell’armadio, ma è impossibile resistere alla tentazione di curiosare in un sito del genere.


Il progetto Archleaks è appena agli inizi, e non so per quanto tempo riuscirà a restare aperto, quindi il mio consiglio è di andarlo a vedere subito senza però dedicarci tanto tempo a meno che, ovviamente, tu non abbia intenzione di inviare il tuo CV proprio in uno degli studi catalogati…
Archleaks è diviso in tre grandi sezioni per nazionalità (Inghilterra, Spagna, Italia) e dalle nostre parti ci sono andati giù duro. Chiunque può descrivere la propria esperienza con lo studio in questione lasciando un commento, che poi sarà votato dagli altri utenti. I commenti con i voti più alti sono messi in evidenza, mentre quelli con i voti più bassi perdono visibilità.
Esiste una moderazione, che però riguarda solo i commenti contenenti insulti o clamorose inesattezze.

Un sistema così aperto somiglia al “muro” dei primi forum comparsi su internet una quindicina di anni fa, e lascia inevitabilmente spazio ad accuse anche gravi, non compensate dai pochi commenti positivi.
La critiche più aspre riguardano le retribuzioni, i ritmi e l’organizzazione del lavoro, sebbene questa non sia certo una rivelazione sconvolgente
: 12 ore di lavoro al giorno, straordinari non conteggiati, lunghi apprendistati non retribuiti, ferie e malattie non riconosciute, partite IVA che nascondono lavori (in alcuni casi schiavitù) subordinate sono una realtà nota da tanti anni ma di cui i giornali non si occupano perché l’opinione pubblica considera tutti i liberi professionisti, indistintamente, dei privilegiati.
In questo settore l’Art 18 non è mai esistito ma questo fa parte delle regole del gioco, quello che però accade in molti studi italiani (non solo in Italia, a onor del vero) ha ormai raggiunto livelli inaccettabili per tanti giovani professionisti, costretti a simili condizioni di lavoro da chi sfrutta la loro passione per la materia studiata all’università, o la brutale mancanza di alternative.

Citazioni sul design

Chi segue i profili Facebook e Twitter di Elmanco sa che saltuariamente inserisco tra i contenuti delle citazioni di famosi designer che descrivono la loro professione con poche ma pungenti parole.
Queste frasi sono straordinarie per il loro grado di sintesi e per le riflessioni che innescano; molte di queste le ho trovate su internet e altre le ho appuntate dopo averle lette su libri, riviste o i muri di studi di progettazione.
Questo articolo raccoglie le citazioni pubblicate da giugno 2011 a marzo 2012 ma la ricerca continua e ne ho già in serbo molte altre: continua a seguire Elmanco!

“The ability to simplify means to eliminate the unnecessary so that the necessary may speak.” – Hans Hofmann

“It’s not important to develop your own style but your own approach.” – Massimo Vignelli

“Design is Honest, advertising is lying.” – ?

“Humor is by far the most significant activity of the human brain.” – Edward de Bono

“Curiosity about life in all of its aspects, I think, is still the secret of great creative people. ” – Leo Burnett

“Google before you tweet is the new think before you speak” – ?

“Il disegno, la pittura, la “scultura”, non sono forme di espressione tradizionali, ma originarie. Quindi anche del futuro.” – Gino de Dominicis

“To say a grid is limiting is to say that language is limiting, or typography is limiting. It is up to us to use these media critically or passively.” – Ellen Lupton

“Advertising is the price companies pay for being un-original.” – Yves Behar

“Think like a wise man but communicate in the language of the people” – William Butler Yeats

“Bad design is smoke, while good design is a mirror” – Juan-Carlos Fernandez

“Copyright is for losers” – Banksy

“A designer is a planner with an aesthetic sense.” – Bruno Munari

“La natura può permettersi di essere prodiga in tutto, l’artista deve essere economo fino all’estremo” – Paul Klee

“Computers are to design as microwaves are to cooking.” – Milton Glaser

“I never design a building before I’ve seen the site and met the people who will be using it.” – Frank Lloyd Wright

“Success is a sum of small efforts repeated day in and day out” – R. Collier

“People ignore design that ignores people.” – Frank Chimero

Polli contro Balene

Nel lontano 2007 avevo recensito “sulla fiducia” The Economic Naturalist di Robert H. Frank, un libro di cui sono riuscito a leggere la versione italiana solo qualche settimana fa.
Il libro ha confermato le premesse e Polli contro balene (il titolo italiano è più accattivante ma fuorviante) si è dimostrato utile per comprendere i meccanismi che stanno dietro a molte scelte produttive e strategiche, per quanto vada considerato una lettura principalmente economica.
Chiarisco subito, a scanso di equivoci, che alcuni potranno trovare il libro noioso e poco pertinente con questo blog ma la mia opinione è che la lettura sia comprensibile anche a chi non ha una laurea in economia e che un buon designer debba fare i conti anche con analisi simili a queste, sopratutto nelle fasi che definiscono gli usi e le caratteristiche di un nuovo prodotto.

L’autore è un docente di economia americano che dimostra con una serie di esempi tratti dall’esperienza quotidiana come molti comportamenti umani si spieghino con l’onnipresente mano invisibile teorizzata da Adam Smith, che ha sua volta spartisce alcuni principi con la teoria evoluzionistica.
Per fare una sintesi estrema, Robert H. Frank ritiene che in una società di libero mercato, ma anche nel mondo naturale, la ricerca dell’interesse personale gioverebbe tendenzialmente all’interesse dell’intera società, e della propria specie, finendo con l’essere premiata dalla storia e dall’evoluzione naturale.

Polli contro balene è un susseguirsi di domande, spesso divertenti, e risposte tecnicamente ineccepibili che sono state raccolte dal professore insieme a studenti e collaboratori in anni di insegnamento.
Faccio qualche esempio che interesserà a chi si occupa di design:

– Perché i videoregistratori hanno una quantità di comandi, quanto la persona media non usa la maggior parte di quelli che si trovano persino sulle apparecchiature più semplici?

– Perché il latte si vende in tetra pack squadrati, mentre le bibite gassate vengono vendute in lattine cilindriche?

– Perché si accende una luce quando apriamo il frigorifero ma non quando apriamo il freezer?

– Perché in certe macchine lo sportello della benzina è dal lato del guidatore mentre in altre è dal lato del passeggero?

-Perché la Hallmark regala biglietti di auguri per “non-occasioni”?.

– Perché i DVD vengono venduti in custodie molto più grandi di quelle dei cd, anche se i due tipi di dischi hanno esattamente la stessa grandezza?

Le risposte a queste domande sono conseguenze di complesse ma ineluttabile iterazioni costi-benefici ed influiscono sul lavoro del designer, seppure non sempre in maniera consapevole.
L’intenzione del professore Frank è quella di instillare nei lettori una curiosità e una capacità di analisi da “naturalista economico” che li aiuterà a capire i caratteri del comportamento umano e animale, e a prendere decisioni migliori.

Gli esempi più interessanti sono però quelli che dimostrano come il raziocinio e l’individualismo che guidano i comportamenti naturali presentino delle eccezioni che, se da un lato confermano la regola, dall’altro dimostrano come non sempre l’interesse individuale coincida con quello della specie.
Mi riferisco al paragrafo dedicato alle corna dei cervi: l’evoluzione, infatti, premia gli animali con le corna più grandi perché hanno più probabilità di vincere gli scontri con gli altri maschi, e quindi di riprodursi, ma la dimensione eccessiva delle corna diventa un pericolo per tutta la specie perché rende più difficoltosa la fuga nel bosco quando i cervi sono inseguiti dai predatori.
Anche nel mondo animale, come in quello umano, la corsa agli armamenti può avere conseguenze imprevedibili.

#supportcocacolla

Questo articolo è un doveroso supporto agli amici e colleghi di CocaColla.it, uno dei migliori blog di arte, design, advertising, lifestyle e trend della rete nato nel 2010 e capace di raggiungere numeri ragguardevoli come 1,5 MILIONI di visitatori unici in un anno, 7000 liker su Facebook e 1000 follower su Twitter. Numeri talmente importanti da svegliare il gigante, che con il consueto tatto e lungimiranza ha deciso di dire basta al grave rischio di confusione per i consumatori.
Proprio così, il blog CocaColla.it chiude perché i suoi autori hanno ricevuto dall’ufficio legale di Coca-Cola Company due lettere di diffida, con cui la multinazionale chiede di ritirare le pratiche avviate per la registrazione del marchio e la cessione nei loro confronti del “nome a dominio” www.cocacolla.it.

Di seguito riporto i punti salienti del comunicato stampa, pubblicato in un editoriale di addio che fortunatamente sembra diventare un arrivederci.

La motivazione è la seguente: “… che la registrazione e l’utilizzo da parte sua del nome a dominio www.cocacolla.it determina l’insorgere di un grave rischio di confusione per i consumatori che possono essere indotti a ritenere che il segno COCACOLLA ed il nome a dominio www.cocacolla.it siano volti a contraddistinguere prodotti/servizi distribuiti, organizzati o sponsorizzati dalla nostra cliente o che comunque l’uso del segno COCACOLLA da parte sua sia stato autorizzato dalla nostra assistita in base ad accordi o altri legami contrattuali o societari, il che non corrisponde al vero. L’uso del segno COCACOLLA e del nome a dominio www.cocacolla.it da parte sua costituisce inoltre contraffazione dei celebri marchi costituiti dalla dicitura Coca-Cola della nostra assistita.”.


Gli autori di CocaColla.it hanno già contattato uno specialista in diritto industriale e in proprietà intellettuale.

“Analizzato il caso ci ha convinto che fosse meglio mollare tutto, perché andare avanti in un’azione legale sarebbe stato un massacro, soprattutto per le nostre tasche. Il nostro è infatti un progetto editoriale e non avremmo mai potuto permetterci una battaglia legale contro una multinazionale del genere. Ormai con certezza, dobbiamo comunicarvi che il  5 Marzo 2012 chiuderemo il dominio www.cocacolla.it e tutti i profili social ad esso collegati.”.

Come è nato il nome CocaColla?

“L’idea di chiamare il blog CocaColla nasce da uno dei nostri primissimi brainstorming, quando pensammo di mettere insieme la colla, elemento fondamentale dell’artistica di base e della street-art, con la Coca-Cola, simbolo della cultura pop, dell’industrializzazione e della pubblicità. Per noi in questo nome c’era tutto quello che volevamo comunicare: tutte le nostre passioni, tutti gli argomenti che di lì a poco sarebbero diventati i temi del nostro lavoro quotidiano di ricerca e produzione di contenuti. Un nome facile da ricordare e irriverente che fa il verso proprio al soft drink più famoso al mondo.”.


Ed Ora?

“Con questo comunicato vogliamo attenzionare a tutti voi quanto è accaduto e comunicarvi che stiamo già lavorando ad una nuova identità. Per evitare di perdere quanto costruito in questi due anni con CocaColla vi chiediamo di sostenerci comunicando la news sui vostri blog, sulle vostre pagine, sui vostri canali e su Twitter usando l’hashtag #supportcocacolla. Potete registrarvi alla nostra newsletter rimanendo aggiornarti sugli sviluppi futuri del nostro blog.
Di questa storia ve ne saremo grati.
Il fu Drink Team.”.


Una gran brutta storia, che dimostra una volta di più come alle multinazionali può mancare l’elasticità per riconoscere quando è il caso di mettere da parte il diritto per non calpestare il buon senso.
CocaColla era un nome geniale per un blog del genere, e nella sua immagine nulla riecheggia alla celebre bibita gassata, che usa un logo, un font e un colore differente.
Tuttavia questa storia dimostra anche la potenza di internet, e di come un’azienda al giorno d’oggi possa preoccuparsi per tutte quelle persone che digitano per sbaglio il suo nome con una “L” in più nei motori di ricerca, anche quando i risultati non hanno nulla in comune, e di concorrenziale, per l’azienda stessa.

Nell’immediato la vicenda è diventato volano pubblicitario per il blog CocaColla.it, perché la questione ha suscitato grande clamore sui social network e se sono occupate anche testate come La Repubblica, Wired, L’Unità. Tuttavia ripartire con un nuovo dominio e una nuova piattaforma, e rinunciare all’enorme patrimonio di backlink guadagnato in due anni di attività è una mazzata dura da digerire… in bocca al lupo ai ragazzi di CocaColla.it per la nuova avventura!

Questo articolo rende omaggio anche all’irriverente creatività innescata dalla contestazione in corso; qui ho pubblicato gli esempi migliori ma per essere aggiornato puoi seguire la pagina facebook di CocaColla.it e l’hastag  #supportcocacolla su Twitter.